Per la prima volta da quando all’Africa è assegnato più di un posto tra le partecipanti al Mondiale, tutte le nazionali africane qualificate sono allenate da tecnici originari del continente.
Grazie Alex per questo post molto interessante, ricco di dati e riferimenti su un argomento molto importante. L'emancipazione e l'autodeterminazione sono valori fondamentali per lo sviluppo di una cultura calcistica vincente e sostenibile. La bravura e la tenacia di tecnici come Cissé, Ibenge e Mosimane (e tanti altri) sono da Premio Nobel del football.
Grazie a te per aver letto il primo numero della newsletter, Peter. Troppo spesso guardiamo allo status quo come a una situazione immutabile e immutata nel tempo. Per anni mi sono chiesto perché, pur essendo esseri umani con le stesse potenzialità, i tecnici africani non fossero all'altezza dei colleghi occidentali o, più spesso, non venissero considerati tali. La risposta non può che risiedere in particolare sulle discrepanze alla base di partenza e sui pregiudizi che fatichiamo a sradicare dalle nostre menti. Pensi che questa edizione dei Mondiali possa rappresentare una conferma dell'emancipazione e autodeterminazione in atto nella comunità degli allenatori africani?
In parte credo che dipenderà dai risultati sul campo. Speriamo che le federazioni nazionali siano meno concentrate sull'immediato e che invece programmino meglio il percorso di crescita delle nazionali, e non solo quelle maschili.
Sì, come si evince dalla newsletter, le federazioni africane dovrebbero prendere esempio dal Senegal, che nel 2015 ha concesso fiducia ad Aliou Cissé e lo ha mantenuto sulla panchina anche dopo l'uscita ai quarti di finale della Coppa d'Africa 2017 e la sconfitta in finale contro l'Algeria nel 2019. Sarebbe bello se le altre nazionali partecipanti facessero altrettanto, a prescindere dai risultati che i tecnici attuali otterranno al Mondiale. Sono convinto che sarà il caso di Walid Regragui in Marocco, un paese che sta dimostrando visione e progettualità.
Bellissimo post. Metti in evidenza quello che ancora manca in tanti pezzi della società, africana e non: cioè la possibilità di sentirsi e vedersi rappresentati.
E questo lo si fa soprattutto grazie al potere delle parole di rendere visibili cose e persone, di continuare a raccontare. E poi di dare voce, lasciare spazio a chi non ha mai potuto prenderselo, quello spazio.
Buongiorno, ho letto con interesse il vostro articolo. Ho una piccola scuola calcio dal 2010 a kankan, città forestale della Guinea con capitale Conakry. Ho voluto fortemente questa esperienza in quanto credo che le persone possano avere anche una visione diversa di ciò che la storia insegna, o meglio, di ciò che i tuoi colonizzatori vogliono che tu impari. La formazione calcistica non sfugge a questa triste verità; non è molto importante che gli allenatori siano stranieri o indigeni ma è molto importante che, parlo dei paesi francofoni, gli istruttori -formatori non siano i tuoi stessi Colonizzatori. Io o da 12 anni(anche in Nigeria e Ghana, non solo nei francofoni) mi prodigo, dove mi permettono di farlo, nel divulgare un pensiero calcistico-filosofico che sia una condivisione e non un semplice"obbedisco". Gli ostacoli che si frappongono sono molteplici ed in primis la Caf e la FiFa che obbligano a fare i corsi di formazione solo ai francesi pena la mancata sovvenzione, che poi , come in ogni angolo abitato, viene reinvestita solo in minima parte. La mia accademia si chiama Académie Football Madarom de Guinée Ed il progetto è:: "Un coup de pied à la pauvreté"
Grazie Alex per questo post molto interessante, ricco di dati e riferimenti su un argomento molto importante. L'emancipazione e l'autodeterminazione sono valori fondamentali per lo sviluppo di una cultura calcistica vincente e sostenibile. La bravura e la tenacia di tecnici come Cissé, Ibenge e Mosimane (e tanti altri) sono da Premio Nobel del football.
Grazie a te per aver letto il primo numero della newsletter, Peter. Troppo spesso guardiamo allo status quo come a una situazione immutabile e immutata nel tempo. Per anni mi sono chiesto perché, pur essendo esseri umani con le stesse potenzialità, i tecnici africani non fossero all'altezza dei colleghi occidentali o, più spesso, non venissero considerati tali. La risposta non può che risiedere in particolare sulle discrepanze alla base di partenza e sui pregiudizi che fatichiamo a sradicare dalle nostre menti. Pensi che questa edizione dei Mondiali possa rappresentare una conferma dell'emancipazione e autodeterminazione in atto nella comunità degli allenatori africani?
In parte credo che dipenderà dai risultati sul campo. Speriamo che le federazioni nazionali siano meno concentrate sull'immediato e che invece programmino meglio il percorso di crescita delle nazionali, e non solo quelle maschili.
Sì, come si evince dalla newsletter, le federazioni africane dovrebbero prendere esempio dal Senegal, che nel 2015 ha concesso fiducia ad Aliou Cissé e lo ha mantenuto sulla panchina anche dopo l'uscita ai quarti di finale della Coppa d'Africa 2017 e la sconfitta in finale contro l'Algeria nel 2019. Sarebbe bello se le altre nazionali partecipanti facessero altrettanto, a prescindere dai risultati che i tecnici attuali otterranno al Mondiale. Sono convinto che sarà il caso di Walid Regragui in Marocco, un paese che sta dimostrando visione e progettualità.
Bellissimo post. Metti in evidenza quello che ancora manca in tanti pezzi della società, africana e non: cioè la possibilità di sentirsi e vedersi rappresentati.
E questo lo si fa soprattutto grazie al potere delle parole di rendere visibili cose e persone, di continuare a raccontare. E poi di dare voce, lasciare spazio a chi non ha mai potuto prenderselo, quello spazio.
Esattamente, Andrea. E Kura Tawila nasce proprio per questo. Per dare spazio a chi non ha mai potuto prenderselo. Grazie per il tuo commento.
Buongiorno, ho letto con interesse il vostro articolo. Ho una piccola scuola calcio dal 2010 a kankan, città forestale della Guinea con capitale Conakry. Ho voluto fortemente questa esperienza in quanto credo che le persone possano avere anche una visione diversa di ciò che la storia insegna, o meglio, di ciò che i tuoi colonizzatori vogliono che tu impari. La formazione calcistica non sfugge a questa triste verità; non è molto importante che gli allenatori siano stranieri o indigeni ma è molto importante che, parlo dei paesi francofoni, gli istruttori -formatori non siano i tuoi stessi Colonizzatori. Io o da 12 anni(anche in Nigeria e Ghana, non solo nei francofoni) mi prodigo, dove mi permettono di farlo, nel divulgare un pensiero calcistico-filosofico che sia una condivisione e non un semplice"obbedisco". Gli ostacoli che si frappongono sono molteplici ed in primis la Caf e la FiFa che obbligano a fare i corsi di formazione solo ai francesi pena la mancata sovvenzione, che poi , come in ogni angolo abitato, viene reinvestita solo in minima parte. La mia accademia si chiama Académie Football Madarom de Guinée Ed il progetto è:: "Un coup de pied à la pauvreté"