Abidjan è sempre più calda e umida e la stanchezza si fa sentire, ma riesco ancora ad alzare un braccio per salutarvi tutti e tutte. Anche coloro che si sono uniti alla comunità di Kura Tawila durante la Coppa d’Africa: ora siamo ben 860.
Inoltre, ho visto che la prima puntata del diario della Coppa d’Africa vi è piaciuta. Ho ricevuto diversi commenti positivi e di questo ne sono felice. Proseguiamo.
Yallah!
15/01 - Giorno 5
Terzo giorno di Coppa d’Africa, quinto per me in Costa d’Avorio. È tempo del primo viaggio, di uscire da Abidjan ed esplorare un’altra delle città ospitanti. Si parte per Yamoussoukro, divenuta nel 1983 la capitale amministrativa del Paese per volere di Felix Houphouët-Boigny, il primo presidente della Costa d’Avorio indipendente, in quanto sua città natale.
Simon Hughes di The Athletic, testata sportiva acquistata dal New York Times nel 2022, si è offerto di dare un passaggio in taxi a me, il mio collega e coinquilino danese Buster Kirchner e Alasdair Howorth, un altro giornalista freelance keniano-scozzese, perché la Caf non aveva ancora messo a disposizione le navette gratuite per i giornalisti. La collaborazione e solidarietà tra colleghi che ho sempre trovato in Coppa d’Africa è qualcosa di rigenerante. Mi riconcilia col mondo del giornalismo. Mi fa stare bene.
L’autista si chiama Abdul, è ivoriano e vive nel quartiere di Marcory, quello della comunità libanese che presto andrò a conoscere. Sembra abbia abbastanza fretta di portare a termine il suo lavoro. Mantiene costantemente il piede sull’acceleratore, tra i 150 e i 170 km/h. Gli chiedo se è necessario e mi risponde che non c’è problema.
Natura in un luogo ignoto tra Abidjan e Yamoussoukro
Avrei preferito rallentasse un po’ anche per osservare meglio la splendida natura verdeggiante che separa Abidjan da Yamoussoukro, ma rimane un gran bel colpo d’occhio. Appoggio la testa al finestrino e sospiro. È un gran privilegio poter essere qui a scoprire un Paese mentre si racconta la Coppa d’Africa. Lunga vita alla Coppa d’Africa con cadenza biennale! Solo così potrò girare il continente più velocemente.
Durante il viaggio continuo a notare le differenze con il Camerun. Nelle 6 ore di autobus che dividono Yaounde e Douala il pedaggio autostradale si pagava a un funzionario che stazionava, in piedi sotto al sole, accanto a una sbarra rudimentale, accompagnato da decine di venditrici ambulanti che approfittavano della sosta dei veicoli per vendere succhi, cibo e fazzoletti. In Costa d’Avorio, invece, ci sono dei veri e propri caselli autostradali con delle cabine. La strada ci dicono essere stata rinnovata in occasione della Coppa d’Africa. Ora Yamoussoukro è raggiungibile in circa due ore e mezza. Anche meno se alla guida c’è Abdul.
Non abbiamo avuto tempo di visitare la città, perché ci siamo diretti subito allo stadio Charles Konan Banny, che ha preso il nome dell’ex Primo ministro ivoriano deceduto nel 2021. Stranamente l’impianto non è dedicato a Felix Houphouët-Boigny, ma è pur vero che al defunto padre della patria ivoriano ne hanno già intitolato uno ad Abidjan, quindi forse due erano troppi. Lo stadio di Yamoussoukro è circondato dal nulla e non è difficile prevedere che si trasformerà, dopo la Coppa d’Africa, nell’ennesima cattedrale nel deserto del continente, vale a dire in un enorme impianto inutilizzato o sottoutilizzato.
Yamoussoukro è sede di due club calcistici: la Soa, la squadra dell’esercito di cui si parlava nella prima puntata di questo diario, e l’US Yamoussoukro, una società che bazzica nelle divisioni inferiori. Non è ragionevole pensare che queste due squadre possano riempire ogni settimana uno stadio da 20 mila posti. Non hanno una tifoseria così numerosa disposta a spendere per assistere alle loro partite. Il fatto è che nel 2017, con l’aumento delle partecipanti alla Coppa d’Africa, sono aumentate anche le richieste della Caf in termini di infrastrutture. Ora il Paese ospitante deve disporre di sei stadi, di cui due con una capacità di almeno 40 mila spettatori, due di almeno 20 mila e altri due di almeno 15 mila.
Un corridoio strettissimo per raggiungere la tribuna stampa dello stadio Charles Konan Banny di Yamoussoukro
Nel frattempo mi sono goduto lo spettacolo del gruppo C, in particolare del Senegal che ha distrutto il Gambia 3-0 in quella che è una delle sfide più interessanti del torneo per motivi extracalcistici. Il Gambia, infatti, è una striscia di terra estremamente sottile che si estende verso l’interno del Senegal meridionale per circa cinquecento chilometri. Senegal e Gambia hanno fatto parte di un unico Stato, la Confederazione del Senegambia tra il 1982 e il 1989. Condividono etnie, lingue, cultura e religione. Molti senegalesi e gambiani, soprattutto quelli che vivono al confine, hanno familiari dell’altra nazionalità. La sola cosa che separa questi due Paesi è l’idioma ereditato dai colonizzatori: il francese per il Senegal, l’inglese per il Gambia.
Momodou Bah, giornalista gambiano di madre senegalese, mi ha detto: “Per noi è come giocare contro i nostri cugini”. I senegalesi, invece, considerano i gambiani come fratelli minori perché sono solo 2 milioni e non hanno la reputazione calcistica dei Leoni della Teranga. Ma va be’, si tratta di sfottò, ci siamo capiti.
Nella seconda gara Guinea e Camerun hanno pareggiato 1-1 in un clima assordante. La comunità guineana è numerosa ed è stata supportata dagli ivoriani, che non amano particolarmente i camerunensi. La solidarietà tra Paesi dell’Africa occidentale, effettivamente, si è fatta sentire sin dal primo giorno.
Siamo tornati ad Abidjan in serata. Un viaggio tranquillo, riempito da conversazioni sul calcio africano inframezzate da qualche silenzio dettato dalla stanchezza.
16/01 - Giorno 6
Martedì mi sono svegliato con una notizia che attendevo ormai da qualche giorno: la Nigeria spalancava le porte del suo hotel per una sessione di interviste di due ore aperta a tutta la stampa. Era il momento di puntare Victor Osimhen, il calciatore africano dell’anno e autentica stella della Coppa d’Africa 2023.
Non ho preparato bene le domande perché non mi aspettavo che questa occasione arrivasse così presto. Ordino un taxi su Yango e mi dirigo al Pullman hotel. È letteralmente preso d’assalto da giornalisti, soprattutto nigeriani. La vista sul mare è meravigliosa. Attendiamo i calciatori nella hall. L’appuntamento era alle 11, ma scenderanno alle 11:30.
Emmanuel Adebayor, leggenda del calcio togolese e africano
Erano settimane che facevo pressione sul capo ufficio stampa della Nigeria, Babafemi Anthony Raji, affinché mi concedesse un’intervista con Osimhen in quanto unico giornalista italiano. I calciatori si presentano nella sala dedicata alle interviste. La giro tutta, trovo Samuel Chukwueze e lo intervisto. Vado avanti, vedo che si è liberato Ademola Lookman e lo intervisto. Becco anche William Troost-Ekong, che intervistai nel 2019 in Egitto. Si è ricordato di me perché siamo nati entrambi il 1 settembre 1993. Ci scambiamo il numero e mi promette un’intervista più approfondita dopo la Coppa d’Africa. Di Victor, però, nemmeno l’ombra.
A un certo punto un collega mi chiama in disparte e mi dice che Osimhen era all’interno di una sala conferenze privata accanto a quella in cui eravamo noi. Lo stava intervistando Emmanuel Adebayor. Dopo pochi minuti la sorpresa: Babafemi, detto Femi, si avvicina a me e mi fa segno di seguirlo nella stanza dove si trovava Osimhen. Dopo il social media manager della Nigeria sarebbe stato il mio turno. Ripasso nella testa una serie di domande. Le traduco in inglese, consapevole che non sarebbe stato efficace chiedere all’attaccante del Napoli di parlare in italiano. L’intervista col social media manager sembra infinita. Ogni domanda è l’ultima. Osimhen sbadiglia. Forse è stanco, penso. Devo farlo sentire a suo agio.
Tocca a me. Mi presento con serenità e determinazione. Racconto a Victor chi sono e cosa faccio. Si sorprende che io sia italiano. Non sono abituati a vederne in Coppa d’Africa. Gli fa piacere che abbia lanciato una newsletter sul calcio africano e mi sorride. L’intervista di circa 9 minuti scorre via che è un piacere. Osimhen è sciolto e rilassato. Non sbadiglia più e quando la giornalista dell’AFP, insieme a un altro membro del reparto comunicazione della Nigeria, mi chiede di tagliare corto, questa è la sua reazione:
Dalla fine dell’intervista in poi è stato come vivere costantemente su un vagoncino delle montagne russe. Alti e bassi emotivi. All’immensa gioia di essere riuscito a intervistare Osimhen è seguito il fallimento (dovrei chiamarlo così?) di non essere stato in grado di vendere l’intervista nei giorni successivi.
Quella giornata, però, si è conclusa con un bel evento organizzato da Africa is a country in collaborazione col mio collega e amico Maher Mezahi, un ragazzo nato negli Stati Uniti e cresciuto in Canada che poco più che ventenne ha deciso di andare a vivere in Algeria per riscoprire le sue radici e occuparsi di calcio africano. Oggi è uno dei migliori in circolazione e ha pensato di creare un’occasione di networking tra giornalisti impegnati in Coppa d’Africa: visione delle partite del gruppo E insieme, panel dedicati al calcio africano e al significato della Coppa d’Africa e musica dal vivo.
La frase della serata l’ha pronunciata Osasu Obayiuwana, freelance nigeriando e corrispondente sul posto per The Guardian: “La Coppa d’Africa non è un torneo come gli altri”, dice rivolgendosi a Hervé Penot, giornalista de L’Équipe. “Ti immagini in Europa un gruppo Whatsapp in cui giornalisti e dirigenti della Uefa discutono di calcio? Sarebbe impossibile. In Africa, invece, ne abbiamo anche più di uno”.
17/01 - Giorno 7
Mercoledì sarei dovuto andare a San Pedro con Buster e Alasdair, ma ho preferito prendermi una pausa. Avevo del lavoro arretrato da fare e svolgerlo durante un viaggio di 6 ore in autobus non sarebbe stato l’ideale.
Le partite del giorno, quelle del gruppo F in cui è impegnato il Marocco, le ho guardate in tv. La prima nel centro dei media a Treichville. La seconda a casa di Maher nel quartiere di Cocody-Mermoz. Accanto al palazzo in cui soggiorna Maher c’è un campo di calcio in terra battuta. Sono le 19:30, ma dei bambini si stanno allenando nonostante il campo sia appena appena illuminato. Insieme a loro un signore, probabilmente un allenatore, che fischia e indica gli esercizi da fare.
Uno dei panel dell’evento organizzato da Africa is a country e Maher Mezahi
Dopo la seconda partita, Maher porta me e un altro collega algerino all’Allocodrome, una sorta di piazzetta piena di stand gastronomici e baretti. Il posto era nato inizialmente come luogo dedicato alla vendita dell’alloco, tipico cibo di strada ivoriano che consiste in banane platano fritte nell'olio di palma e insaporite con una salsa speziata fatta con cipolle e chili. Ora serve tutti i piatti tipici della cucina ivoriana. Su suggerimento di Theo Jaguar, uno dei gestori dell’Allocodrome, prendo nuovamente l’attieke col pollo brasato. È un’altra esperienza. Theo Jaguar mi insegna come mangiarlo e cambio immediatamente idea sulla bontà di questo piatto. Bisogna prendere una certa quantità di attieke e schiacciarla con le dita dentro il piatto. Una volta formatasi una pallina, bisogna renderla più consistente schiacciandola dentro il proprio pugno. Dopodiché si passa la pallina di attieke nella salsa, la si mangia e la si accompagna col pollo. Delizia!
Tornando a parlare di San Pedro, in realtà non avevamo nemmeno prenotato un alloggio, tant’è che i miei due colleghi non ne hanno trovati e hanno accettato l’offerta di alcuni tifosi marocchini di dormire a casa loro. Alla fine, però, hanno incontrato un giornalista ivoriano di base in Romania che sarebbe tornato ad Abidjan in nottata dopo le partite.
Hanno bucato una gomma e sono arrivati alle 5:30 del mattino. Mi sveglio per aprire la porta a Buster, lo maledico e torno a dormire.
Siamo giunti alla fine della seconda puntata del diario della Coppa d’Africa 2023. Come vi dicevo anche l’altra volta, Kura Tawila è un progetto lanciato da poco, perciò scrivetemi per valutazioni, consigli e suggerimenti o semplicemente se volete fare due chiacchiere sul calcio africano e sulla Coppa d’Africa.
Se vi piace la newsletter, condividetela con chi pensate possa essere interessato, con i tassisti un po’ spericolati e i venditori di alloco.
Akwaba!
La faccia di Oshimen e' fantastica!!