PROTESTARE È UN PRIVILEGIO
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Il 6 novembre dieci federazioni calcistiche affiliate alla Fifa hanno inviato una lettera di risposta al presidente Gianni Infantino, che tre giorni prima aveva chiesto alle trentadue partecipanti al Mondiale in Qatar di concentrarsi sul calcio e lasciar stare la politica. Il fatto che tutte e dieci le federazioni siano europee rappresenta la nota stonata di una melodia che teoricamente tutto il mondo del calcio dovrebbe contribuire a comporre. Belgio, Danimarca, Galles, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera sono invece gli unici paesi che hanno aderito al coro. Dal resto del mondo, compresa l’Africa, è giunta solo l’eco del silenzio.
Perché in questi anni dai paesi africani non si è alzata alcuna voce per denunciare i continui abusi e il numero imprecisato di morti che hanno visto coinvolti anche cittadini del proprio continente? Perché non si è aperto almeno un dibattito all’interno delle federazioni calcistiche?
Spoiler: nessun paese o federazione africana vanta una levatura morale tale da poter pontificare sulla situazione di un altro paese.
Le ingerenze della Fifa
Per rispondere alle domande di cui sopra partiamo dal ruolo chiave giocato dalla Fifa nelle dinamiche del calcio africano. L’Africa è da tempo diventata il continente preferito di Infantino, che ha addirittura compromesso l’indipendenza del processo elettorale per le ultime presidenziali della Confederazione calcistica africana (Caf). A febbraio 2021 Infantino ha intrapreso un tour africano di dieci giorni, su un jet privato concesso dalla Qatar Airways, riunendosi con i presidenti federali e i capi di Stato più influenti per elaborare un piano comune e arrivare alle elezioni del 12 marzo con un solo candidato appoggiato dall’intero continente. Il prescelto è stato Patrice Motsepe, proprietario dell’African Rainbows Mineral e terzo uomo più ricco del Sudafrica con un patrimonio netto stimato di 3 miliardi di dollari.
Sostanzialmente, la mossa di Infantino mirava a esercitare un controllo diretto sul nuovo presidente della Caf in vista delle elezioni della Fifa che si terranno nel 2023 e a cui Infantino si candiderà per il terzo mandato consecutivo. E la ragione che spinge l’italo-svizzero a interessarsi tanto agli affari interni al calcio africano è palese. La Caf è una confederazione composta da 54 federazioni che corrispondono a circa il 26% delle 211 federazioni affiliate alla Fifa e contare sul sostegno del suo presidente garantirebbe a Infantino una solida base per poter essere rieletto. Detto, fatto. Lo scorso agosto Motsepe ha comunicato che la Caf appoggerà il “fratello europeo” Infantino all’unanimità alle elezioni del prossimo marzo.
L’ingerenza della Fifa però non si è limitata alla scelta del candidato ideale per la presidenza. Scottato dal mandato fallimentare di Ahmad Ahmad - dirigente malgascio che aveva supportato nel 2017 per spodestare il camerunense Issa Hayatou, più vicino a Joseph Blatter - Infantino ha deciso di cautelarsi piazzando il fedelissimo Veron Mosengo-Omba sulla poltrona della segreteria generale. Suo amico sin dai tempi dell’università, lo svizzero-congolese figurava in precedenza nell’organigramma della Fifa, per cui gestiva i rapporti con le federazioni affiliate. Alla Caf, oltre a far sì che il supporto per Infantino non si sfaldi, Mosengo-Omba si occuperà degli affari economici che la Fifa sviluppa nel continente africano. Su tutti la creazione di una Superlega africana sulla falsariga di quella rigettata in Europa. La nuova competizione, che sarà inaugurata ad agosto 2023, è stata fortemente sponsorizzata da Infantino, che l’ha anche presentata insieme a Motsepe all’ultimo congresso della Caf ad agosto.
Marocco e Tunisia
Ora passiamo ai singoli paesi ma, dato che analizzare caso per caso la situazione dei cinquantaquattro stati che formano l’Africa sarebbe un’impresa improba, concentriamoci sui cinque che prenderanno parte al Mondiale. D’altronde, come affermava il prezioso reporter polacco Ryszard Kapuściński in “Ebano”, l’Africa
“È un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo. È solo per semplificare, per pura comodità, che lo chiamiamo Africa. In realtà, a parte la sua denonimazione grografica, l’Africa non esiste”.
Iniziamo con Marocco e Tunisia, rappresentanti del Nordafrica, la striscia settentrionale al di sopra del deserto del Sahel che Kapuściński escludeva dalla sua divisione del continente in quattro Afriche. Un’esclusione in gran parte accettata dai nordafricani stessi, che faticano a riconoscere la propria appartenenza al continente.
Per certi versi, in Marocco e Tunisia possiamo ascoltare la stessa musica che risuona per le strade del Qatar. Seppur con sostanziali differenze, quella marocchina e tunisina sono due società ancora intrappolate in sistemi di governo autoritari, repressivi e spesso sordi al richiamo di diritti umani basilari. Il Marocco è una monarchia costituzionale, mentre la Tunisia una repubblica democratica che si sta sgretolando sotto i colpi regressivi del presidente Kaïs Saied. In entrambi i paesi i rapporti omosessuali consensuali sono sanzionati con pene fino a un massimo di tre anni di prigione. Non sono rispettati nemmeno i diritti dei migranti, la questione per cui è stato maggiormente criticato il Qatar a causa delle (almeno) 6.500 morti nei cantieri di costruzione degli stadi che ospiteranno il Mondiale. Senza andare troppo a ritroso, lo scorso giugno la polizia marocchina è stata corresponsabile della morte di ventitré persone provenienti dall’Africa subsahariana che tentavano di attraversare la frontiera con l’enclave spagnola di Melilla. Da aprile a luglio, in Tunisia, centinaia di rifugiati e richiedenti asilo si sono accampati e hanno manifestato per settimane davanti alla sede dell'Unhcr a Tunisi per domandare l’evacuazione da un paese in cui la loro dignità è quotidianamente violata. Queste politiche istituzionali, rinforzate da periodici accordi milionari con l’Unione Europea, consolidano il razzismo nei confronti degli immigrati subsahariani, una piaga che avvelena una fetta consistente delle due società. Tutto ciò non viene contestato a dovere dalla stampa. Gli organi di informazione che non sono direttamente o indirettamente controllati dal governo godono di una platea di ascolto e di una libertà di espressione decisamente limitate. Il Marocco occupa la posizione numero 135 nell’indice della libertà di stampa del 2022 elaborato da Reporter Senza Frontiere, mentre la Tunisia è 94esima. Alle poche persone e/o associazioni che protestano viene regolarmente abbassato il volume.
A ciò si aggiunge il solido legame che intercorre tra il Qatar e le diaspore dei due paesi presenti a Doha. Lì si sono stabiliti migliaia di lavoratori marocchini e tunisini, favoriti da lingua e religione predominante in comune e da cultura e tradizioni simili. Nel 2016 i marocchini erano circa 7 mila, mentre i tunisini addirittura 21 mila. Oggi i numeri dovrebbero essere quantomeno raddoppiati per entrambe le diaspore. Inoltre, il Qatar è rispettivamente il quinto e secondo investitore in Marocco e Tunisia in molti settori cruciali come il turismo. La relazione si estende anche al calcio. Per fare un esempio, nel 2020 la Qatar Airways, compagnia di bandiera qatariota, è diventata lo sponsor principale del Club Africain, salvando letteralmente dalla bancarotta una delle due squadre più tifate e influenti di Tunisia.
Va da sé che, in simili contesti, il Qatar non abbia bisogno di mettere in moto la propria macchina propagandistica per ripulire l’immagine del paese.
Senegal, Camerun e Ghana
Scendiamo in Africa centro-occidentale, in particolare in Senegal, Camerun e Ghana. Anche in questi paesi la macchina della propaganda qatariota ha potuto rimanere parcheggiata e risparmiare sul carburante. Non c’è bisogno di rumori di sottofondo e di raccontare una realtà diversa a società in cui la strada verso un iniziale riconoscimento di diritti fondamentali conduce ancora troppo spesso a un vicolo cieco.
I governi di Senegal e Camerun puniscono i rapporti omosessuali consensuali con una condanna che può raggiungere i cinque anni di prigione. Quello senegalese, nominalmente una repubblica, è considerato un regime ibrido dall’Indice di Democrazia compilato dall'Economist Group, una società privata con sede nel Regno Unito che pubblica il settimanale The Economist. Lo stesso indice classifica il governo camerunense come regime autoritario. In Senegal l’aspirazione dell’attuale presidente Macky Sall a un terzo mandato (che sarebbe incostituzionale) e il tentativo di mettere fuori gioco i candidati dell’opposizione per le elezioni del 2024 ha provocato proteste che si protraggono a fasi alterne dall’anno scorso. A marzo 2021 le manifestazioni contro l’arresto di Ousmane Sonko sono sfociate in scontri con la polizia che hanno causato tredici morti e più di una decina di feriti. A luglio 2022 altre tre persone hanno perso la vita per denunciare la mossa del consiglio costituzionale senegalese di eliminare la lista dei candidati della principale coalizione di opposizione in vista delle elezioni legislative del mese successivo. Non se la passano meglio i cittadini camerunensi, in particolare coloro che risiedono nelle regioni occidentali anglofone, dove dal 2017 si è nuovamente intensificato il conflitto civile con le forze governative di Yaoundé. Il numero delle vittime è sconosciuto ma siamo nell’ordine delle migliaia (alcune fonti delle regioni anglofone parlano di 5-10.000 morti). I dati disponibili sono molto limitati perché le autorità camerunensi ostacolano la ricerca e diffusione di queste informazioni. Al contrario dei paesi analizzati fin qui, il Ghana è uno degli Stati africani politicamente più stabili, ma presenta anch’esso le sue lacune in materia di diritti umani. I rapporti omosessuali consensuali possono portare a scontare una pena di un massimo di tre anni di carcere. Anche in Ghana, nel corso del 2022, c’è stata una serie di manifestazioni contro l'aumento del costo della vita, ma fortunatamente sembra non si siano registrati morti né feriti.
Senegal, Camerun e Ghana hanno usufruito o potrebbero usufruire anch’essi della potenza economica qatariota in ambito calcistico. In particolare, dal 2007 al 2020 il Senegal ha ospitato nella cittadina di Saly Portudal la base africana dell’Aspire Football Dreams, il controverso progetto di reclutamento di giovani calciatori promettenti del Qatar facente capo all’Aspire Academy. Da mesi il Ghana, nella persona del ministro dello sport Mustapha Ussif, sta facendo pressioni sul Qatar affinché gli venga donato uno degli stadi smontabili dopo la fine del Mondiale.
“Ogni paese africano, così come qualunque altro paese nel mondo, guarda alla situazione in Qatar attraverso le lenti dei propri interessi politici ed economici”,
mi ha detto nei giorni scorsi Osasu Obayiuwana, giornalista nigeriano esperto di governance calcistica, quando l’ho intervistato per un articolo scritto per il settimanale “Scenari”. Come avrete ormai capito, questo consente ai lunghi tentacoli del Qatar di coprire gran parte dell'Africa senza bisogno di ripulire la propria immagine. Per evitare le critiche è sufficiente far leva sulle esigenze economiche e sulle lacune governative dei paesi che compongono il continente.
In Europa - che va ricordato non è esattamente il paradiso dei diritti umani - ad alzare la voce ci hanno pensato presidenti federali come la norvegese Lise Klaveness e capitani delle nazionali come l’ormai ex calciatore finlandese Tim Sparv. In Africa numerose personalità calcistiche sono state o sono tuttora legate a doppio filo al Qatar. Dunque, al netto del silenzio a cui sono forzate le società civili dei paesi africani menzionati, chi avrebbe potuto o potrebbe esprimere una critica al paese organizzatore del Mondiale?
Il presidente della federcalcio marocchina Fouzi Lekjaa che nel 2021 è stato nominato anche ministro delle finanze di uno Stato che nel 2017, quando il resto dei paesi del Golfo impose un embargo nei confronti del Qatar, inviò a Doha aiuti umanitari?
Il capitano della Tunisia Youssef Msakni che milita nel campionato qatariota dall’età di 23 anni?
Il presidente della federcalcio camerunese Samuel Eto’o che non si è fatto problemi a chiudere la carriera da calciatore al Qatar SC nel 2019?
Il capitano del Ghana André Ayew che è uno dei calciatori di punta dell’Al Sadd, il club più vincente della Qatar Stars League?
Il vicepresidente della federcalcio senegalese Saer Seck che per anni ha personalmente affittato terreni e infrastrutture all’Aspire Academy affinché stabilisse la sua base africana in Senegal?
LINK UTILI SULLE NAZIONALI AFRICANE
Per una panoramica sulle nazionali africane potete leggere:
- la solita eccellente guida interattiva del The Guardian;
- l’articolo di presentazione che ho scritto per Nigrizia;
- l’articolo di geopolitica calcistica scritto per il settimanale Scenari.
CALENDARIO DELLE AFRICANE
1^ Giornata:
21 novembre
17:00 = Senegal-Paesi Bassi
22 novembre
14:00 = Danimarca-Tunisia
23 novembre
11:00 = Marocco-Croazia
24 novembre
11:00 = Svizzera-Camerun
17:00 = Portogallo-Ghana
2^ Giornata:
25 novembre
14:00 = Qatar-Senegal
26 novembre
11:00 = Tunisia-Australia
27 novembre
14:00 = Belgio-Marocco
28 novembre
11:00 = Camerun-Serbia
14:00 = Corea del Sud-Ghana
3^ Giornata:
29 novembre
16:00 = Ecuador-Senegal
30 novembre
16:00 = Tunisia-Francia
1 dicembre
16:00 = Canada-Marocco
2 dicembre
16:00 = Ghana-Uruguay
20:00 = Camerun-Brasile