La ricerca dell'unità nazionale
Edizione 1963: la seconda tappa del viaggio all'interno della storia della Coppa d'Africa attraverso le 5 edizioni più significative
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DISCLAIMER: Questo testo è un estratto di “Viaggio in Coppa d’Africa - Storia del torneo + guida all’edizione”, un libro scritto a quattro mani con Vincenzo Lacerenza per presentare la Coppa d’Africa 2019. Questa che leggerete è una versione rivisitata del testo originale.
Baba Yara, come al solito, è appena stato protagonista della vittoria in trasferta del Real Republikans a Kpandu, dove la squadra del Presidente Nkrumah ha liquidato con discreta facilità i Volta Heroes. Sta rientrando nella capitale Accra assieme ai compagni di squadra. Sembra un viaggio di ritorno normale, tranquillo e festoso come lo erano stati tanti altri, ma a un certo punto, in un tratto particolarmente infido nel cuore della Regione del Volta, un veicolo sbuca all'orizzonte e centra in pieno l’auto su cui viaggia Baba Yara.
È un impatto tremendo e le conseguenze sono gravissime. Baba Yara ne esce vivo, ma riporta una seria lesione alla colonna vertebrale. Lo mettono subito su un aereo e lo trasportano allo Stoke Mandeville Hospital, nel Regno Unito. Viene seguito da autentici luminari e sottoposto alle cure più innovative, ma non c'è nulla da fare.
Quando rientra da Londra, nel gennaio del 1964, la folla radunatasi per accoglierlo si aspetta di vederlo pienamente ristabilito, ma alla vista del fuoriclasse ghanese sdraiato su una barella tutti si portano le mani al volto e scoppiano a piangere. Baba Yara, il più grande calciatore ghanese della sua generazione, il King of Wingers che ammaliava le folle con finte imprevedibili e numeri da giocoliere, non scenderà mai più in campo, spegnendosi nel 1969 a soli 33 anni, dopo un lungo calvario fatto di cliniche, sedie a rotelle e inutili cure riabilitative.
A soli otto mesi dalla Coppa d'Africa casalinga, la prima a cui il Ghana prende parte, le Black Stars si ritrovano senza il loro miglior giocatore, quello per cui solamente due anni prima l’Asante Kotoko aveva minacciato di abbandonare il campionato. Tutta colpa del Real Republikans, la squadra fortemente voluta dal presidente Kwame Nkrumah, figura di spicco del panafricanismo. “Ciò che cresce lentamente, mette radici profonde”, recita un millenario proverbio ghanese, ma Nkrumah non aveva tempo da perdere, voleva tutto e subito. Il padre della patria, che seguiva la stella cometa del socialismo panafricano, combatteva il neocolonialismo e si faceva chiamare Osagyefo, il redentore, credeva che anche il calcio potesse essere una carta da giocare sul tavolo dell’identità nazionale, il collante privilegiato con cui sanare quelle frammentazioni sociali figlie di confini tracciati con squadra e righello dagli europei alla Conferenza di Berlino del 1884-1885.
Così, subito dopo l’indipendenza del Paese, ottenuta dall’Inghilterra il 6 marzo 1957, il primo presidente del Ghana aveva dato una patente da ministro a Ohene Djan, l’ex presidente della federazione amateur, affidandogli il compito di creare un dream team per portare il calcio ghanese a primeggiare nel continente, oltre che a costituire una base per i successi della nazionale. La logica era semplice e consisteva nel riunire le forze per raggiungere l’obiettivo prestabilito. A rappresentare il Real Republikans doveva essere il fior fiore del calcio ghanese. Così i due migliori giocatori di ogni squadra del campionato vengono cooptati dalla nuova supersquadra. In pratica era come se la nazionale giocasse ogni domenica. La squadra del presidente non durerà a lungo - come d’altronde nemmeno il governo di Nkrumah, rovesciato da un colpo di Stato nel 1966 - ma avrà il tempo per fare incetta di titoli e macinare record ancora imbattuti nella storia del calcio ghanese. L’Osagyefo’s Own Club, com’era conosciuto scherzosamente per via del soprannome del Presidente, vincerà un campionato, ma soprattutto quattro coppe nazionali consecutive, impresa mai emulata da nessun altro club ghanese fino ad oggi.
1963: l’ascesa delle Stelle Nere
Al palmares potremmo aggiungere una Coppa d'Africa. Dei diciotto protagonisti del trionfo del Ghana alla Coppa d’Africa casalinga del 1963 la metà indossa settimanalmente la maglia del Real Republikans. Ci sono giocatori leggendari come Wilberforce Mfum, bandiera dell’Asante Kotoko e uno dei primi giocatori africani a giocare negli Stati Uniti. In panchina dirige le operazioni il più iconico di tutti gli allenatori ghanesi, Charles Gyamfi, che qualche anno prima era diventato il primo africano a calcare i campi da gioco tedeschi. Per il Ghana l'obiettivo è la vittoria e anche un secondo posto avrebbe il sapore della disfatta, ma la concorrenza non manca. Anzi, è aumentata.
Nello stesso anno della fondazione dell’Oua, antenata dell'odierna Unione Africana, la Coppa d’Africa spalanca le sue porte e nessuno vuole mancare al festival del panafricanismo. Le Black Stars, come si facevano chiamare prendendo in prestito il simbolo della compagnia di spedizioni di Marcus Garvey, un giamaicano panafricanista e profondamente antischiavista, non sono l’unica novità di quel torneo. Per la prima volta ai nastri di partenza c’è anche la Nigeria, con cui il Ghana negli anni precedenti aveva dato vita ad appassionanti sfide in tornei regionali.
Superato il girone con qualche affanno, dopo aver steccato all’esordio con la Tunisia (1-1) e aver asfaltato l’Etiopia (2-0), nella finalissima di Accra le Black Stars si trovano di fronte il Sudan. I Falchi di Jediane avevano vinto il proprio gruppo con Nigeria e Repubblica Araba Unita (l’odierno Egitto) del miglior giocatore del torneo Hassan El-Shazly, che si laureerà anche capocannoniere con 6 reti. In una partita dai contorni epici, ricordata come una delle più entusiasmanti della storia della Coppa d’Africa, il Ghana si impone per 3-0. Una gioia seconda solo a quella provata per l’indipendenza. “I ghanesi hanno festeggiato come se il Ghana avesse raggiunto l'indipendenza un'altra volta”, ricorderanno negli anni a venire alcuni dei protagonisti.