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DISCLAIMER: Questo articolo è stato stato scritto originariamente dal sottoscritto in spagnolo e pubblicato sul numero 123 di Panenka (acquistabile qui) il 14 novembre 2022. Questa che leggerete è una traduzione rivisitata e aggiornata dell’articolo originale.
Il Marocco ha raggiunto gli ottavi di finale dei Mondiali 2022 dopo aver disputato la miglior fase a gironi di sempre per una nazionale africana. I Leoni dell’Atlante hanno accumulato ben 7 punti e conquistato il primo posto in un girone che comprendeva i vicecampioni del mondo della Croazia e il Belgio, terzo classificato a Russia 2018. Questo risultato arriva dopo due edizioni di Coppa d’Africa alquanto fallimentari.
In particolare quella del 2019, in cui il Marocco era nettamente una delle squadre favorite. La sorprendente eliminazione agli ottavi contro il Benin aveva segnato la fine di un ciclo. Poco dopo Mbark Boussoufa, Karim El Ahmadi, Manuel da Costa, il capitano Mehdi Benatia, Nordin Amrabat, Younes Belhanda e Khalid Boutaïb - cioè il nucleo della rosa costruita dal francese Hervé Renard - si sarebbero ritirati o sarebbero stati messi ai margini. Il cammino della generazione che aveva fatto sognare al popolo marocchino la conquista della Coppa d’Africa dopo l’unica vittoria del 1976 si è interrotto sulle parate di Saturnin Allagbé. La squadra che aveva messo in difficoltà il Portogallo e fermato la Spagna ai Mondiali dell’anno precedente si era estinta.
A proposito di Mondiali, tra le ultime due partecipazioni del Marocco prima di Qatar 2022 erano trascorsi vent’anni. Attualmente in Africa solo cinque nazionali possono qualificarsi ai Mondiali e quindi restare costantemente tra le migliori del continente rappresenta un compito molto arduo. È per questo che la sconfitta contro il Benin avrebbe potuto segnare anche l’inizio di un lungo periodo di transizione prima di tornare nell’élite, se non fosse stato per l’ottima visione e programmazione che hanno caratterizzato il calcio marocchino nell’ultimo decennio.
La rete di osservatori
Il Marocco è probabilmente il paese africano più preparato in termini di formazione giovanile. L’Accademia Mohamed VI, inaugurata nel 2009 dal re in persona dopo un investimento di 13 milioni di euro, è unica in Africa ed è al livello delle migliori scuole calcio del mondo. Tra i giocatori che compongono l’attuale rosa della nazionale maggiore, Youssef En-Nesyri del Siviglia, Nayef Aguerd del West Ham, Azzedine Ounahi dell’Angers e il portiere del Wydad Casablanca Ahmed Reda Tagnaouti sono cresciuti nel centro di allenamento di Salé, vicino alla capitale Rabat.
È chiaro che l’impatto che l’allora direttore tecnico dell’accademia Nasser Larguet ha avuto sul progresso del calcio marocchino è stato notevole. È stato sempre lui che nel 2014, nella fase iniziale della sua esperienza con la Federcalcio marocchina (Frmf), ha iniziato a tessere una rete di osservatori in Europa con l’obiettivo di individuare i giovani più promettenti di origine marocchina che stavano spuntando dalle diaspore del vecchio continente.
Il primo acquisto dell’attuale direttore tecnico dell’Arabia Saudita è stato Rabie Takassa, osservatore di base a Madrid che collaborava già da qualche anno con la federazione. Poiché l’immigrazione marocchina in Spagna non ha una storia di lunga data come in Francia o in Belgio, Takassa ha preso l’iniziativa di trasferirsi nel paese iberico perché si era reso conto che molti giocatori originari del suo paese sarebbero emersi negli anni a venire. Ha iniziato a stabilire rapporti con i calciatori nel 2008 quando è entrato in contatto per la prima volta con Zouhair Feddal, attuale difensore centrale del Real Valladolid. “Sono andato a vederlo una volta a Ceuta quando giocava nel San Roque de Lepe e ho notato che aveva caratteristiche molto interessanti”, ricorda. “Ho avvisato lo staff della nazionale olimpica e da lì è iniziata la mia storia”.
Ora è il coordinatore degli osservatori marocchini in Europa e gestisce un gruppo di cinque professionisti che, oltre alla Spagna, coprono Francia, Italia, Germania, Paesi Bassi e Belgio. “C’è un lavoro globale che consiste nell’avere una visione generale di tutti i giocatori”, dice. “Poi, a seconda delle esigenze di ogni squadra nazionale, ci concentriamo maggiormente su determinate posizioni, ma se troviamo talenti come Achraf Hakimi il resto passa in secondo piano”.
Se non si tratta di una richiesta esplicita dell’allenatore che vuole parlare con un giocatore in particolare o necessita di un’analisi su un giovane talentuoso che è appena stato promosso in prima squadra, solitamente gli osservatori non vengono coinvolti nel lavoro della nazionale maggiore. Di loro c’è bisogno prima, quando il talento non è ancora sbocciato. Ecco perché il monitoraggio può iniziare a partire dai 12 anni. “Dobbiamo cercare di non farci sfuggire nessun giocatore”, afferma Takassa.
È proprio questa attenzione capillare e la volontà di guardare al futuro che sta permettendo al Marocco di godere di tutte le migliori risorse che le diaspore marocchine in Europa stanno producendo. A casa sua Takassa ha una piccola stanza che ha trasformato nel suo personale laboratorio di calcio. Lì raccoglie riviste e registrazioni di partite. “Mi impegno a guardare almeno 5-6 partite durante il fine settimana, più quelle infrasettimanali delle competizioni internazionali”, rivela. “Poi, da domenica sera fino a martedì, scrivo i resoconti di tutte le partite che ho visto”. Quest’anno il suo focus principale è sulla Youth League, dove ci sono più di 30 giocatori di origine marocchina.
La fiamma marocchina
Non hanno mai esordito in Youth League, ma i tre volti nuovi che hanno arricchito la rosa del neo-allenatore Walid Regragui per le amichevoli di settembre contro Cile e Paraguay erano già nel mirino della federazione. Si tratta dell’attaccante del Bari Walid Cheddira, del centrocampista della Sampdoria Abdelhamid Sabiri e del funambolo dell’Osasuna Abdessamad Ezzalzouli, meglio conosciuto come Ez Abde.
Benjamin Hajji, ex osservatore marocchino-norvegese del Famalicão, definisce il Marocco paese pioniere in Africa per quanto riguarda lo scouting giovanile. “Convocazioni come quella di Ezzalzouli sono il risultato di anni di comunicazione e progettazione”, sottolinea. “La federazione ha il controllo completo sulla diaspora e Larguet è stato fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Sebbene all’epoca avesse subito molte critiche, ha giocato un ruolo importante nella professionalizzazione di tutto il calcio marocchino e ora la gente comprende che Larguet ha gettato le basi per i successi futuri”.
Poiché gli osservatori sono i primi ad avvicinarsi ai potenziali nuovi rinforzi della nazionale per spiegare, a loro e alla loro famiglia, il progetto della federazione e quali sono i suoi obiettivi, Takassa ha partecipato alle conversazioni con Abde per far sì che scegliesse di vestire la maglia dei Leoni dell’Atlante. Assicura che in nessun momento la stella di proprietà del Barcellona ha pensato di non giocare per il Marocco e che la polemica nata quando ha deciso di non partecipare alla Coppa d’Africa 2021 è stata creata dalla stampa. “Lo abbiamo convocato nell’U20 quando era ancora un giocatore dell’Hercules”, ricorda. “Quindi c’è sempre stato un dialogo tra lui e la federazione, anche prima che esplodesse al Barcellona”.
Takassa ammette che le conversazioni con i giocatori binazionali raramente prendono la piega sbagliata ed è convinto che anche per i tanti calciatori che giocano nelle nazionali giovanili di altri paesi poter esordire nella nazionale maggiore del Marocco sia un sogno. “Tutti i giocatori di origine marocchina, anche se nati e/o cresciuti in Europa, hanno sempre qualcosa dentro che li lega al Marocco”, dice, ricordando che sono ragazzi che visitano il paese con la famiglia quasi ogni estate.
Le cose sono andate molto naturalmente anche con Achraf Hakimi, uno dei campioni che Takassa ha contribuito a portare in nazionale. “Aveva iniziato nell’U17, anche se nel 2014 non ha potuto rispondere a una delle prime convocazioni perché aveva degli esami da sostenere”, ricorda, sottolineando che una delle sue più grandi soddisfazioni è stata vederlo scendere in campo durante il Mondiale in Russia nel 2018 dopo che aveva iniziato a seguirlo nel settore giovanile del Real Madrid. “Consideriamo qualsiasi giocatore di origine marocchina un ambasciatore del nostro paese”, continua. “Quando si parla di Hakimi, o di qualsiasi altro giocatore, si parla automaticamente del Marocco. È qualcosa di cui siamo orgogliosi”. Non si tratta, quindi, di convincerli ma di manifestare l’interesse della federazione nei loro confronti. “Quella fiamma che arde per il Marocco è già dentro”, prosegue Takassa. “Basta accenderla, spiegando che il Marocco vuole contare su di loro”. Se percepisce che il giocatore non ha intenzione di unirsi alla nazionale, che il suo cuore non gli dice di accettare la chiamata del Marocco, la federazione non avvia nemmeno la trattativa. “Un giocatore che viene senza provare nessun tipo di sentimento nei confronti del paese non può rendere”, dice. “Con il Marocco giochi perché ami questo paese o non giochi”.
Qatar 2022
Noussair Mazraoui e Hakim Ziyech avevano mostrato tutto il loro amore per il Marocco già prima che Halilhodžić li escludesse dal giro della nazionale per motivi disciplinari. Il primo è tornato quando il bosniaco era ancora sulla panchina dei Leoni dell’Atlante. Il secondo, la cui assenza si è rivelata proprio una delle cause dell’esonero di Halilhodžić, è stata la grande novità della prima convocazione di Walid Regragui, il secondo tecnico marocchino a guidare la propria nazionale in un Mondiale dopo Abdellah El Ajri, che condusse la selezione nordafricana alla rassegna iridata del 1994.
Oltre ad aver riportato in nazionale i due ex calciatori dell’Ajax, che sono stati tra i primi rinforzi che il dipartimento di scouting ha consegnato alla federazione, Regragui ha inserito nuovi elementi scovati dagli osservatori marocchini dislocati in Europa. Oltre a Cheddira, Sabiri ed Ezzalzouli menzionati in precedenza, si sono aggregati alla squadra anche Anass Zaroury, 22enne esterno offensivo del Burnley, e Bilal El Khannous, 18enne centrocampista del Genk. Entrambi sono nati e cresciuti in Belgio, uno dei paesi che sforna più talenti di origine marocchina. Nonostante questi ultimi innesti abbiano abbassato l’età media della rosa rispetto a quella che ha fallito alla Coppa d’Africa 2019, da a 27,7 anni a 26,1, il Marocco sembra aver aumentato la propria competitività.
In definitiva, non sarebbe stato possibile avviare il percorso di crescita in corso senza l’oculatezza della federazione, tanto in patria quanto all’estero. Oltre ai già citati quattro calciatori coltivati dall’Accademia Mohamed VI, il Marocco ha svezzato altri sette componenti dell’attuale rosa che sta disputando i Mondiali. I restanti quindici giocatori sono nati o si sono formati in Europa e se sono riusciti a entrare nel radar della nazionale gran parte del merito va agli osservatori che vivono nei paesi dove questi calciatori crescono, parlano la lingua del posto, ne conoscono la mentalità e sanno come avvicinarsi a loro. “Il Marocco è un caso piuttosto particolare a livello mondiale”, puntualizza Takassa. “Non conosco nessun altro paese che abbia così tanti giocatori nati e cresciuti in numerosi paesi europei. Non saprei dire se esiste un sistema federale migliore del nostro. Ma probabilmente una rete di scouting per la nazionale così particolare e allo stesso tempo così efficace come quella marocchina è difficile trovarla”.
Articolo top e complimenti al Marocco per il lavoro. Alle 16 match arduo con la Spagna ma si può sperare